Monsignor Giuseppe Celidonio a cento anni dalla morte
Monsignor Celidonio è stato celebrato con un interessante convegno al Centro Pastorale Diocesano di Sulmona il 23 febbraio 2013, promosso dalla Università Sulmonese della Libera Età e dalla Diocesi di Sulmona-Valva, a cento anni dalla morte. Sono intervenuti il dott. Ezio Mattiocco, il prof. Pasquale Orsini, il prof. Alberto Tanturri, mons. Eulo Tarullo e il Vescovo Spina. Tante le persone presenti in sala. Gli interventi hanno messo in evidenza la figura di mons.Celidonio come uomo, sacerdote, storico, ricercatore, studioso e scrittore. Ha svolto un lavoro encomiabile nei lunghi anni di studi e ricerche presso l’archivio storico di S. Panfilo dandogli un ordinamento. Ha salvato una quantità di documenti che permette oggi di ricostruire non solo la storia religiosa del territorio. Ha scritto circa 23 opere di cui 19 sono storiografiche. Tra i tanti lavori particolare rilievo occupano i quattro volumi della storia della diocesi.
Il Vescovo, nel suo intervento, ha ringraziato tutti e ha tratteggiato un profilo della poliedrica personalità di mons. Celidonio, sacerdote di questa diocesi, che tanto ha dato non solo nel campo della cultura, ma della spiritualità e della fede.
Viene riportato di seguito l’intervento di mons. Eulo Tarullo:
“È con immenso piacere, ma anche con un po’ di soggezione perché tra tanti studiosi e cultori di storia e io non lo sono, che offro il mio modesto contributo a questo Convegno che intende celebrare Mons. Giuseppe Celidonio a 100 anni dalla morte avvenuta il 24 febbraio 1913.
Mi legano a questo Sacerdote esemplare, studioso e storico raffinato, l’essere Sacerdote anch’io e l’essere nato nello stesso Paese, Scanno che, Mons. Celidonio portò sempre nel cuore. Prova ne sono due espressioni che alcuni anni fa, quasi per scherzo, feci mie dopo esserne venuto a conoscenza. Egli amava ripetere, parafrasando alcuni versi danteschi: «Venni quaggiù dal mio beato Scanno» (cfr. A. Dante, Inferno, c. II, v. 112), e ancora «Scanno mi fe’, disfecemi Sulmona».
Mons. Aniello Calcara, nipote di Mons. Tobia Patroni (Vescovo di Sulmona dal 1871 al 1906), Sacerdote del Clero di Sulmona, Rettore del Seminario e infine Arcivescovo di Cosenza dal 1 luglio 1940, in occasione della ristampa curata da don Mario Capodicasa nel 1954 dell’opera del Celidonio “S. Pietro del Morrone Celestino V”, si celebravano i 100 dalla nascita di Mons. Celidonio, inviò un suo scritto “Mons. Giuseppe Celidonio come l’ho visto io”, nel quale immagina che egli presentandosi al suo Signore avrà ancora detto: «Venni … quaggiù dal mio beato Scanno».
Storico raffinato, studioso eccellente il Celidonio, Di questo parleranno altri.
Dico solo che la raffinatezza e la scrupolosa ricerca storica e documentaristica sono presenti fin dalla sua giovinezza. Nei giorni scorsi la sig.ra Dorinda Celidonio, che lo chiama affettuosamente “zio Monsignore”, mi ha dato l’opportunità di leggere un manoscritto di Mons. Celidonio, l’unico in possesso della famiglia, datato 14 maggio 1873. Celidonio aveva solo 21 anni di età ed era ancora studente.
Si tratta di semplici appunti di scuola presi, come fanno tutti i buoni studenti, nelle lezioni di Teologia Morale, ma appaiono ordinati in maniera tale, raccolti con tale scrupolosità che già facevano presagire quello che poi Mons. Celidonio sarebbe stato.
Mi piace parteciparvi quanto egli premette a quelle fitte e ordinate 254 pagine di appunti, una introduzione che egli chiama “Osservazione”, dalla quale traspare anche il suo spirito combattivo.
Fa cenno ad un allontanamento dal Seminario in quell’anno scolastico di tutti gli studenti seminaristi, non ne dà il motivo, però ARMANDO LEOMBRUNO, ne I Vescovi della Diocesi di Valva e Sulmona, Ed. Qualevita 2010, 158, scrive che nel maggio1873 da parte dell’autorità scolastica (Ministro della Pubblica Istruzione Antonio Scialoja 5/8/1872-10/7/1873 nel I° governo Lanza), ci fu l’ordine di chiudere quel Seminario, che primeggiando per freschezza ed interezza di programmi, era frequentato da un gran numero di chierici. In ottemperanza a tale ordine, il Vescovo Mons. Tobia Patroni dispose che il Seminario rimanesse aperto per le sole scienze sacre.
Scrive il Celidonio: «Compatiscimi se t’incontri a leggere queste lezioni di teologia morale.
Il degnissimo Precettore don Nicola canonico Araneo dettolle, ed io come seppi meglio le raccolsi e le scrissi, tranne il trattato degli Atti Umani, che per buona ventura compose egli stesso.
Le scrissi fra tante altre occupazioni scolastiche, e spessissimo senza confrontare autore alcuno, ma a forza di mente e raziocinio mi sforzai di non uscir mai dalle orme del Maestro.Ed in tale inviluppatissime quistioni mi attenni sempre alla sua fede ed alla sua parola degna in vero d’ogni credenza.
Tutto che trovasi in questo libro, fu l’oggetto del 1° Corso scolastico, intrapreso negli ultimi di settembre 1872 e troncatosi nel suo termine 10 maggio 1873.
Da coloro che predicando istruzione ed educazione, non sonsi vergognati da cacciarci dal Seminario, dispettando così i piati (pianti?) degli onesti, i lai di tanti genitori e le fortune di tanti giovani che pure stavano qui ad istruire ed educare! Ma folli, non sanno che Desiderium peccatorum peribit!
Sulmona 14 Maggio 1873. E aggiunge:
E grazie a Dio è “perito” veramente, perché rabbonacciatasi la tempesta subitanea ed impetuosa, di bel nuovo il sole è tornato a corruscare bello e rutilante; ed Martedì 20 maggio, a dispetto dell’Inferno, proseguimmo il nostro corso col Trattato della carità. G. Celidonio»
Ho detto all’inizio che altri, più esperti, parleranno di Mons. Celidonio storico, ricercatore, studioso, scrittore. A me interessa, per quello che è possibile perché pochi sono i dati a disposizione, far emergere l’Uomo Celidonio e soprattutto il Sacerdote Celidonio. Nessuno di noi oggi può dire di averlo incontrato, ascoltato o parlato con lui, quando moriva 100 anni fa nessuno di noi c’era. Ho trovato però 2 scritti di 2 personaggi che l’hanno conosciuto e bene e sono stati ambedue Vescovi.
Uno già citato quello di Mons. Aniello Calcara, l’altro “L’anima di Mons. Celidonio”, sempre nella ristampa dell’opera su Pietro da Morrone, di Mons. Salvatore Rotolo della Congregazione Salesiana di don Bosco,Vescovo di Acquaviva e Altamura delle Fonti, nipote di Mons. Celidonio in quanto figlio di Caterina Celidonio sorella di Giuseppe.
Questo mio intervento mi fa riandare alla mia adolescenza perciò permettetemi un ricordo personale di Mons. Rotolo, morto il 20 ottobre del 1969. Ogni estate veniva a Scanno e io, da seminarista, così voleva il mio parroco Mons. Manfredo Carfagnini, ogni mattina lo prelevavo da casa e lo accompagnavo in Chiesa, servivo la sua Messa e ogni pomeriggio lo accompagnavo nella quotidiana passeggiata al lago, ed era un “rito” il vederlo prelevare dalla tasca un bicchiere e bere (me ne offriva sempre) l’acqua della fontanella che è ancora lì a pochi metri dalla Chiesetta della Madonna del Lago.
L’uomo Celidonio
Così Mons. Calcara: «Complessione rubesta e dignitosa, ammorbidita dall’aire senza sussiego e a volte umilmente dimesso; gesto largo e, in circostanze eccezionalmente gravi, maiestatico, e conchiuso sempre in un sorriso compiacente; eloquio con tutti familiare e spesso faceto, ma schivo sempre di vanitose ostentazioni e di sciocche adulazioni. Tutto concorreva a circondarlo di simpatia e ad aprirgli la via del cuore in ogni genere di persone, alle quali poi giungeva l’affetto della sua bontà come brezza carica di polline salutare e la luce della sua intelligenza come caldo raggio fecondatore.»
“Spesso faceto” dice Mons. Calcara. Doveva essere così. Ancora un ricordo personale: un altro Sacerdote scannese, mio omonimo, don Arturo Tarullo, più volte mi ha raccontato un episodio anche a lui pervenuto perché era nato nel 1915.
Si era deciso dal Comitato festa di S. Eustachio, protettore di Scanno, (20 settembre) di invitare Mons Celidonio a tenere quello che una volta si chiamava il panegirico del Santo. Per questo,in una calda giornata di agosto parte, a piedi, da Scanno un certo Desiderio Tarullo che giunto a Piazza Garibaldi bussa alla porta dei Celidonio.
È Monsignore che si affaccia al balcone e chiede: “Chi siete buon uomo?”
“Sono Desiderio, Monsignore, e vengo da Scanno”
“Ah, Desiderio,e cosa desiderate?”
Ecco il fare e il parlare faceto. Mi raccontava Don Arturo che ci fu l’incontro e la richiesta che però non fu esaudita per quella volta. Poche cose queste, ma dalle quali, mi pare, almeno un po’ emerge l’uomo Celidonio.
Il Sacerdote Celidonio
L’Educazione Cristiana ricevuta in famiglia, e un’indole incline alla bontà sbocciarono in una chiara vocazione al Sacerdozio.
Come si usava a quel tempo vestì l’abito talare prima ancora che compisse 7 anni, e qualche tempo dopo scese a Sulmona ed entrò in Seminario per la sua formazione. A Sulmona da allora rimase e operò nel ministero sacerdotale e in quello di scrittore fino alla morte che lo colse ancora vegeto, aveva solo 61 anni, il 24 febbraio 1913.
Fu ordinato Sacerdote il 1° aprile 1875. Da quel momento ottenne la Cattedra di lettere all’interno dello stesso Seminario dove rimase ad insegnare per oltre trent’anni, passando dalle classi del ginnasio a quelle del liceo.
Che tipo di Sacerdote?
Scrive ancora Mons. Calcara: «Il giovane levita ebbe la consapevolezza piena di essere per gli uomini il ministro di Cristo, il pastore delle anime, il maestro delle intelligenze a guisa del Divin Maestro, sommo Sacerdote, buon Pastore, maestro delle genti. E volle essere in effetti tutte queste cose con l’aiuto dei celesti carismi e la materna protezione della Vergine Del suo ministero sentì l’alta dignità non per invanirsene, ma per tremarne e meritarne la grazia. Di qui il suo spirito di adorazione che, conservato fino agli ultimi anni, era per noi giovani sacerdoti (Calcara fu sacerdote dal 3/9/1903) motivo di profonda edificazione: la celebrazione della Messa, immancabilmente preceduta da una protratta preparazione e seguita da un non meno lungo e raccolto ringraziamento, era da lui assaporata con intimo godimento che gli traspariva dalla letizia del volto; la recita del divin Ufficio era lenta, pausata e devota, e tale voleva che fosse anche in Coro, allorché fu Arcidiacono della Cattedrale di Sulmona; non iniziava azione della giornata senza elevare il pensiero a Dio con la preghiera.»
Tenera la sua filiale devozione alla Vergine Maria, da Lei volle iniziare il suo ministero tanto che 4 giorni dopo la sua Ordinazione Sacerdotale il 4 aprile 1875 si recò alla Santa Casa di Loreto per celebrare la sua Prima Messa Solenne.
Della devozione alla Madonna è testimone anche il nipote Mons. Rotolo che scrive: «1912: ultimo anno di vita di Mons. Celidonio. Il 12 agosto a Scanno si trasportava la piccola statua della Madonna del Lago dal Santuario al Paese, per ottenere la grazia della pioggia. Monsignore fu invitato a dare il saluto alla Madonna. Ero presente, mi ritrovo gli appunti presi allora: “Il nome di Maria è scritto in tutti i cuori dei fedeli di Scanno: dobbiamo venerarla, dobbiamo imitarla, pregarla e meritare le sue grazie tenendo lontano il peccato e vivendo vita cristiana, sotto lo sguardo di Dio e della Madonna”. … Come storico ricordò anche Giuseppe De Angelis di Scanno, vissuto due secoli fa, che scrisse parecchie opere, fu il più grande giureconsulto dei suoi tempi, fu grande devoto della Madonna e al termine delle sue opere stampava: “A gloria di Dio e di Maria”; l’opera dei delitti e delle pene la concluse con queste parole: “Tutto quello che ho, tutto quello che so, tutto quello che ho scritto tutto è per Maria”. Monsignore terminava dicendo: “Fedeli di Scanno, ecco uno dei vostri antenati, egli aveva il nome di Maria scritto a lettere d’oro nel suo cuore, imitatelo e come lui avrete grazie e premio in questa vita e nell’altra.” »
Ministero sacerdotale
Anche qui c’è d’aiuto Mons. Calcara.
«Parroco di S. Maria ad Nives in Sulmona per 13 anni (1879-1892). Nella Chiesa Parrocchiale che allora si apriva solo la domenica, invitò i fedeli a convito quotidiano; Messa tutti i giorni e quindi comunioni frequenti e sempre più numerose, predicazione periodica, edificante amministrazione di Sacramenti, funzioni ben fatte, per nutrire la pietà dei fedeli che ne furono santificati, in guisa di ricordarlo poi sempre in benedizione. Ma la sua sollecitudine si estese anche alla gente di campagna, in Contrada Cavate senza chiesa e senza guida; per la sua iniziativa sorse dalle fondamenta il tempio bello e decoroso, fra il Gizio e il Sagittario, ed egli fu l’apostolo indefesso di tutti quei numerosi rurali, i quali vollero perpetuare la memoria del grande benefattore in una lapide marmorea, murata nella Chiesa medesima».
Conseguì a Roma, il 25 febbraio 1912, la laurea in Sacra Teologia.
Dopo aver vinto un concorso (allora si usava) prese possesso della Penitenzeria della Cattedrale Basilica di Sulmona, compito che svolse con immenso vantaggio delle anime che, numerose, si affidarono alla sua sapiente direzione spirituale.
Alla morte del canonico Mons. Nicola Araneo nel 1903 che era stato suo Maestro, divenne Arcidiacono della Cattedrale di San Panfilo. Dopo 3, anni per la morte del Vescovo Mons. Tobia Patroni (1906) fu nominato Vicario Capitolare che aveva il compito allora di governare l’intera Diocesi. Lo fece “con prudenza informata a paterna bontà, ma non senza manifestazioni di tempestiva opportuna energia, sino all’ingresso del nuovo Vescovo Mons. Nicola Iezzoni, aprile 1907”.
In morte di Mons. Celidonio
La morte lo colse il 24 febbraio 1913.
Scrive Mons. Calcara: «… a noi che lo amammo piace pensarlo già tra i fulgori della gloria celeste; a noi che ne ammirammo la bonaria saggezza e vogliamo ricordarlo così come lo vedemmo, è caro immaginare che Mons. Celidonio, il quale volle essere pio prima che dotto, abbia ancora oggi, pure nella patria celeste, uno dei suoi preferiti ricordi danteschi e dica, compiacendosene come allora: “Scanno mi fe’, disfecemi Sulmona”; o per conchiudere così come iniziò, nel ricordo della sua mai obliata patria terrena: “Venni … quassù dal mio beato Scanno”».
E Mons. Rotolo:
«Rividi Mons. Giuseppe Celidonio sul suo letto di morte il 24 febbraio 1913: occhi socchiusi, labbra sorridenti, mani giunte in atto di preghiera: stringeva il Crocifisso e la corona del Rosario. Piansi sulla sua salma; pregai ma vidi la sua grande anima in seno a Dio. Sempre così ho visto Mons. Giuseppe Celidonio, durante la sua vita, in morte, dopo morte: “l’anima con Dio”.»