Ricordato a Castel di Ieri Padre Tito Pasquali
Ricordato a Castel di Ieri Padre Tito Pasquali E’ stato ricordato a Castel di Ieri, suo paese natale, Padre Tito Pasquali della Famiglia dei Discepoli. Presenti ai diversi momenti celebrativi tante persone: il Superiore Generale della Famiglia dei Discepoli , P. Anotnio, P. Cesare, don Rocco, altri sacerdoti dei Discepoli, il parroco don Vincenzo, il Sindaco, il Vescovo.
L’incontro è iniziato con un momento di preghiera e di riflessione davanti alla casa natale di P. Tito, per proseguire in chiesa e sostare in preghiera davanti al battistero. Al Comune è stata svelata una epigrafe ricordo e si è tenuto un breve convegno nella sala.
In chiesa c’è stato il momento di chiusura con la celebrazione della S. Messa, presieduta dal vescovo, con il parroco, i sacerdoti della Famiglia dei Discepoli, don Renato e don Eugenio. Durante l’omelia il vescovo ha detto: “P.Tito è stato un uomo tutto di Dio, uomo dell’essenziale che ha confidato sempre nella Provvidenza, con la sua povertà ha arricchito tutti di vita evangelica, di bontà e di santità…”
Il professore Michele Giovanni Leone lo ha ricordato con un nutrito intervento: “RICORDO DI PADRE TITO PASQUALI NEL 125° DELLA SUA NASCITA
Eccellenza Rev.ma Mons. Angelo Spina, Padri Discepoli, Autorità tutte, Cittadini di Castel di Ieri, Amici tutti che siete intervenuti a questa giornata di memoria e di festa in questo splendido paese della Provincia dell’Aquila, il mio reverente saluto ed il mio ringraziamento. Facendo un piccolo giro stamattina, sono arrivato un po’ prima dell’orario previsto per la Santa Messa, mi sono fatto un giretto per le strade attigue alla bella Chiesa – veramente ci ero già stato altre volte ma non avevo fatto questa riflessione – ed ho notato che esistono tanti nomi di strade – Via degli archi, via dei fienili, via della breccia, via San Pio, Via Nazionale, Piazza Croce, Via Abruzzo, Via Fontana, Via San Nicola alla Dogana, etc…, ma ho cercato invano una Via o una Piazza intitolata a Padre Tito Pasquali – Sacerdote Discepolo. Personalmente credo che la colpa, se così possiamo dire, è tutta di Padre Tito… e nel prosieguo del discorso lo capiremo meglio. Faccio presente che io vengo da non lontano da qui, da Calascio, e lì, invece, è stato adottata tutta un’altra metodica nella toponomastica. Invece di dedicare una strada o una piazza a nomi sconosciuti o personaggi famosi di altre epoche e di altre terre si è preferito additare al pubblico ricordo personaggi di rilievo del territorio che hanno in qualche misura onorato e servito la popolazione locale per un certo numero di anni. Abbiamo ricordato ed a lui dedicato il Parco dei Caduti a Padre Giovanni Minozzi, Cappellano Militare e Fondatore dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia che ha assistito per decenni i figli dei caduti e li ha educati e formati per la vita. Non mi permetto di dare suggerimenti all’Autorità locali, ci mancherebbe altro, ma credo che una piccola riflessione in tal senso vada fatta. Ma torniamo al nostro discorso. Noi oggi siamo qui riuniti per RICORDARE un grande personaggio: Padre Tito Pasquali di Castel di Ieri. Molti di voi, specie i più giovani, potrebbero dire giustamente: Ma chi è costui? Mai sentito. E forse hanno le loro buone ragioni per pensare e dire così. Vedete, Amici, quando nella vita si fanno delle scelte RADICALI importanti e definitive molto spesso ci si dimentica delle proprie origini, della propria famiglia, delle proprie terre, della propria casa. In un certo senso Tito Pasquali è stato uno di questi personaggi che ha dedicato tutta la sua vita agli altri e per gli altri. Ha, insomma, interpretato il detto evangelico: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, oltre il te stesso, ha gettato la sua vita allo sbaraglio per gli Orfani della Prima guerra mondiale e, poi, della seconda, servendo senza riserve, se SE e senza MA, là dove l’Obbedienza lo ha portato, con la massima generosità umanamente possibile. Qualcuno di noi potrebbe definirlo un marziano in un mondo che, al contrario, pensa sempre e solo a se stesso. Ma addentriamoci un po’ in questo personaggio e tratteggiamo, a tratti brevi, il suo profilo. Tito Pasquali nacque a Castel di Ieri, in Provincia dell’Aquila, il 02/06/1891 da una famiglia del luogo, numerosa e molto cristiana. Insomma 125 anni fa. Ma noi stiamo qui a perdere tempo per uno che è nato tanto fa! – potrebbe dirmi qualcuno di voi ben pensate. Io rispondo è si, se stiamo qui, se siamo venuti da varie parti d’Italia, se sua Ecc.za Rev.ma si è scomodata, credo proprio che la nostra breve riflessione si debba per alcuni minuti concentrare su questa FIGURA molto particolare e, soprattutto, che i Cittadini di questo bel Paese debbano sapere e conoscere CHI è stato e COSA ha fatto Padre Tito Pasquali. Dicevamo che è nato qui, sesto di otto figli. I suoi genitori furono Luigi Pasquali e Anna Domenica di Benedetto. “Famiglia austera e nobile quella dei Pasquali, retta energicamente da un padre severo e ingentilita dalla presenza della madre finissima e cristiana”. La condizione economica della famiglia, pur non agiatissima, era stabile per l’apporto del lavoro dei campi e del bestiame che tutti i suoi membri, Tito compreso, davano con trasporto e dedizione completa, con l’attaccamento ai campi che assorbe tutta la giornata e la vita del contadino. In queste strade ed in queste piazze ha corso e giocato, come fanno i bimbi di oggi, ma, poi, un bel giorno qualcosa sconvolse la sua vita e sentì che la sua vita sarebbe dovuta essere un’altra. “Fu così che nel 1902, a 11 anni, il ragazzo entrò nel seminario diocesano – a Sulmona -, avendo tutta la famiglia solidale nel tenerlo agli studi”. Vescovo della Diocesi di Valva e Sulmona era Mons. Nicola Jezzoni che conosciuto il ragazzo e viste le buone inclinazioni volle contribuire al pagamento della retta per tenerlo agli studi. Il ragazzo si impegnò molto nello studio e nella pietà, ma anche lui come tutti subì il travaglio dell’adolescenza e ad un certo punto pensò quasi di abbandonare tutto e di tornarsene in famiglia. Un intervento duro ma concreto del padre lo riportò alla realtà delle cose. Il ragionamento semplice che il padre gli fece è questo: “Tu hai scelto di entrare in seminario e ti devi decidere se continuare o uscire; noi abbiamo già stabilito per tutti una volta; se torni a casa, andrai a zappare, come gli altri. Domani mi darai la risposta”. Tito passò una notte insonne e pregò tanto. Decise di rimanere in seminario e, pur nei contrasti tumultuosi e discontinui del periodo adolescenziale, si rese docile verso i suoi superiori, di cui conservò sempre gratitudine e devozione, e ne attinse scienza ed esempio. Terminato il periodo degli studi fu ordinato Sacerdote il 6 febbraio 1916, in tempo per essere chiamato al fronte, come soldato di sanità, per la guerra 1915-1918. Congedatosi, dopo il servizio militare, torno a Sulmona dove il Vescovo della diocesi, ancora Mons. Nicola Jezzoni, decise che il suo compito sarebbe stato quello di vicerettore nel seminario vescovile. Iniziò da qui il suo lavoro con i giovani, lavoro in cui “profuse tutte le sue doti e le sue energie, dandosi ai giovani in misura completa, i giovani che saranno sempre la sua speranza ed il suo cruccio”. Pur preso nelle molteplici attività quotidiane del suo ruolo di Sacerdote e vicerettore del Seminario diocesano, Don Tito non si sentiva soddisfatto e completo. Anelava a qualcosa di più, ad essere più perfetto, a donarsi ancora di più ai fratelli bisognosi. Risuonavano nella sua mente le parole evangeliche che Gesù rivolse al giovane ricco allorquando, fissandolo nel volto, l'amò e gli disse: «Una cosa ti manca; va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni, prendi la tua croce e seguimi», ed ancora: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”. Don Tito era attratto da queste parole evangeliche e le voleva realizzare in pieno. Decise allora di lasciare il Seminario di Sulmona. Andò in Africa, missionario, e si aggregò ai Padri Bianchi. Vi restò per circa un anno. Le condizioni climatiche e la sua cagionevole salute, però, lo costrinsero a rientrare in Patria. Tornato fece domanda ai Benedettini di Montecassino per essere annoverato fra gli insegnanti dell’Abbazia, con la prospettiva di entrare, successivamente, nell’Ordine Benedettino. Ma, come spesso succede nella vita, le cose non andarono come Tito aveva sperato. Ricordò allora le parole di Isaia: “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, né le vostre vie sono le mie vie” e si affidò al Buon Dio. Intanto in Italia si imponevano all’opinione pubblica due figure sacerdotali: Padre Giovanni Semeria e Don Giovanni Minozzi, figure che attraevano l’interesse generale per l’animosa carità, il dinamismo della loro azione, l’ispirazione evangelica e patriottica della loro azione. Stiamo celebrando proprio in questi tempi il centenario della Grande Guerra e, quindi, credo che anche la figura di Don Tito Cappellano sia in sintonia con il tema. I due Sacerdoti erano stati Cappellani Militari al fronte durante la guerra 1915- 1918 ed avevano assistito allo scempio della guerra; avevano fatto promessa ai fanti morenti di pensare ai tanti, troppi figli lasciati piccoli e senza nulla, specie nelle terre meridionali, dove la povertà e l’arretratezza materiale e culturale la faceva da padrona e dove le popolazioni erano più abbandonate a se stesse. Per attuare la promessa fatta ai soldati morenti, Padre Semeria e Don Giovanni Minozzi avevano fondato l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia che aveva lo scopo di “assistere gli orfani di guerra e concorrere alla promozione religiosa, morale e civile delle popolazioni meridionali, povere e nobilissime. Per la realizzazione del loro ideale avevano gettato la propria vita allo sbaraglio, donandosi ai fratelli più poveri delle regioni più dimenticate, primi fra tutti i fanciulli, gli orfani”. Don Tito aveva sentito parlare dei due Sacerdoti, ma al fronte non aveva avuto modo di incontrarli e di conoscerli. Di Don Minozzi gli parlò a lungo ed in modo molto entusiasta un dotto e pio Sacerdote, pievano della cittadina di Ofena molto ben voluto dalla popolazione per le sue opere di carità e per la sua grande vicinanza alle esigenze della gente, Mons. Pasquale Leone, che era nato a Santo Stefano di Sessanio. D’accordo con Don Tito lo presentò a Don Minozzi. Don Tito, intanto, mentre era in attesa di ricevere una risposta da Montecassino indirizzò anche una domanda a Padre Semeria e Don Minozzi, nel dicembre 1921, per entrare nell’Opera. Ma non arrivò nessuna risposta. Il 21 maggio 1922, tardando la risposta, la ripeté. Da Don Minozzi ricevette una risposta telegrafica: “ Se vuoi venire, io ti offro lavoro e sacrificio”. “Don Tito, nel travaglio del suo spirito e nel dubbio della via, ebbe come un’illuminazione. Sentì congeniale a sé la proposta e la vide come vetta sulla quale poteva quietare alfine la sua aspirazione. Rispose anch’egli, breve e deciso: “Accetto lavoro e sacrificio, senza emolumento”. Il singolare contratto per un lavoro a tempo pieno, inesauribile, era stipulato” e con esso la vita di Don Tito prese una nuova piega ed un indirizzo completamente diverso da quello ipotizzato per Montecassino. Quanti di noi, oggi specialmente, sarebbero capaci di fare una scelta del genere? LAVORO e SACRIFICIO, senza alcuna ricompensa. Oggi come prima cosa, di fronte ad una offerta di lavoro si dice: “Quanto mi dai?”. Capiamo, quindi, che la prospettiva di Don Tito era completamente all’opposto dell’umano pensare e dell’agire normale. Il campo di lavoro che si presentò davanti a Don Tito fu vasto ed immenso. Prima come Vice Rettore ad Amatrice dove erano raccolti tantissimi orfani – in due strutture diverse – maschietti e femminucce. Ma nonostante e, forse, soprattutto perché il lavoro era immenso ed intenso che Don Tito si accorse che era urgente provvedere anche ad un altro lavoro, quello di formare al più presto “Operai educatori” in linea con lo spirito e la lettera che Padre Semeria e Don Minozzi volevano dare alla loro Opera. Dopo Amatrice, Potenza fu la sua seconda esperienza nell’Opera. Vi fu destinato nella primavera del 1924. L’Istituto di Potenza era in cima ai programmi di Don Minozzi e di Padre Semeria e in una lettera a Don Tito del 28 luglio del 1924 Padre Minozzi scrive: “ Io voglio proprio che codesto orfanotrofio diventi istituto modello: per questo l'ho affidato a te che sei il più caro e il più sicuro dei collaboratori fratelli mandatici da Dio. Avanti sempre. Sii sereno e dolce fino ai limiti dell'estrema pazienza; ma forte e deciso in ciò che è dovere imprescindibile”. Ma Potenza non era città facile. Città di provincia povera di idee e di ardore evangelico pensava più al proprio piccolo tornaconto che alle opere di Carità. Ma pur in questo grigiore c’erano, come sempre d’altronde, luci scintillanti che aiutavano Don Tito nel perseverare pur nelle indicibili difficoltà. Oltre all'appoggio dei Fondatori, nelle difficoltà provenienti da un ambiente a circolo chiuso, anche Mons. Vincenzo D'Elia, figura sacerdotale preminente nella città, dedito anch'egli a far la carità, lo spronava e lo incitava a resistere e ad andare avanti. L’esperienza potentina durò fino alla terza decade del mese di novembre 1925, allorquando Don Minozzi lo destinò ad una nuova struttura nascente – alle Vigne di Calascio – che gli era stata donata da un Nobiluomo di Calascio – Don Luigi Frasca. L’arrivo di Don Tito e di un gruppetto di 18 giovani aspiranti avvenne il 16 dicembre 1925. Inizia da questa data il viaggio lungo di Don Tito, durato circa venti anni, fra mille difficoltà materiali, organizzative e d’ambientazione che lo vedranno primo Attore nella stabilizzazione e nell’incremento della Colonia Frasca da Colonia agricola a Seminario dei Discepoli. La “Bella Casa” sarà sia per lui sia per Don Minozzi il porto sicuro in cui sostare per ricaricare le forze fisiche e spirituali; sarà la casa dei sogni in cui immagineranno la crescita della Famiglia religiosa “I Discepoli” ed a cui dedicheranno molti dei loro sforzi pur senza trascurare l’immane campo di lavoro dell’Opera. Il lavoro di Don Tito alla Colonia Frasca fu importantissimo perché servì a formare più generazioni di Sacerdoti Discepoli ed a impostare, assieme alla guida forte e sicura di Padre Minozzi, il Carisma ed il modo di essere Discepoli. Sarebbe interessante affrontare questo discorso, ma ci vorrebbe tanto tempo e, forse, è più argomento di addetti ai lavori. Possiamo dire che l’opera di Don Tito fu essenziale e provvidenziale. Oltre alla formazione dei giovani il lavoro di Don Tito e Don Minozzi fu, come loro abitudine, a 360°. Furono elementi essenziali per far migliorare tutta la zona. Fu anche merito loro se l’acqua potabile arrivò alle Vigne di Calascio, se fu realizzata la strada carrabile che porta a Calascio e che oggi è un vero gioiello che consente di ammirare la bella vallata specie durante la primavera allorquando i mandorli in fiore la ingioiellano tutta. L’impegno così intenso e continuo – notte e giorno – fiaccò un po’ il gracile fisico di Don Tito – dimenticavo di dire che fisicamente era un pretino, basso, gracile, quasi un fuscello – e, quindi Don Minozzi lo portò con se a Roma e lo chiamò come ispettore, senza togliere ad altri le cariche già attribuite. In realtà il riferimento di tutti, dopo il Fondatore, era lui, discepolo fedele della prima ora. Giunse a Roma con il compito di Ispettore Generale. Le molte case dell’Opera sparse in tutta l’Italia Centro-Meridionale avevano bisogno, aldilà della meritoria azione qualificante delle tante Suore presenti e dei Discepoli incaricati di provvedere alle necessità delle “Case” più grandi ed impegnative, di una supervisione super partes che potesse dare al Consiglio di Amministrazione gli elementi necessari per una corretta gestione in regola anche con le normative nazionali. Don Tito si rese disponibile per questo delicato compito e girò palmo a palmo tutte le regioni meridionali facendo puntuale e precisa relazione in tutte le sue visite per migliorare l’operatività delle strutture e la formazione dei giovani ospitati. E’ necessario ricordare che alla morte del Fondatore – Padre Giovanni Minozzi – nel 1959 i giovani e le giovanette assistite nelle “Bella Case dell’Opera Nostra”, così soleva indicarle Padre Minozzi, era circa 15.000. Alla morte del Fondatore avvenuta l’11 novembre 1959, seguì un breve periodo di sbandamento, succede sempre vero quando certi fatti accadono quasi all’improvviso. All’Assemblea Generale della Famiglia dei Discepoli, celebrata ad Amatrice il 15 luglio 1960 Don Tito fu scelto come Superiore Generale della Famiglia dei Discepoli, vedendo in lui il simbolo della continuità e il segno dell'unità e della dedizione assoluta. L’incarico di Superiore Generale fu rinnovato anche nel successivo sessennio quando, così prescrivono le regole, dovette lasciare ad altri tale delicato compito. Finito il suo periodo di “comando”, se così lo vogliamo definire, nell’Assemblea che rinnovava il Consiglio fu richiesto dai più dei presenti di richiedere la dispensa per consentirgli un altro quinquennio. Ringraziando tutti per la proposta, fu tenacissimo oppositore di questa idea perché già sentiva il peso degli anni e sapeva quanto duro e difficile fosse il peso di tante istituzioni e di tante anime che lavoravano in esse. Non disdegnò, però, l’altra proposta che fu fatta: quella di vederlo come Consigliere Speciale, per così dire, durante le riunioni del Consiglio della Famiglia, anche se senza diritto di voto, in modo tale da continuare a dare il suo contributo di esperienza e di saggezza. Rimase anche come Consigliere Delegato dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia. Rimase a Roma fino alla fine, fino a quel 29 aprile del 1974 quando si ricongiunse agli amati Fondatori e a tanti altri Discepoli che lo avevano preceduto. La sua tomba, oggi, è nella Cappella della Colonia Frasca, quella Cappella che lui iniziò a costruire e che con tanto amore e gioia lo custodisce. Fin qui abbiamo accennato alla vita esteriore di Padre Tito. Ora brevemente vediamo che tipo di UOMO era, come si rapportava col mondo esteriore, quali erano le sue convinzioni profonde. Non possiamo analizzare compiutamente questo argomento, ma lo accenneremo solo per titoli. Don Tito Uomo essenziale. Non amava le esteriorità, il lusso, le comodità, le gozzoviglie (come le chiamava lui). Era parco nel cibo, quasi austero. Vederlo mangiare era quasi scioccante. Poco cibo, spesso, specie a sera una patata ed una sardella accompagnata da una mela e mezzo bicchiere di vino. Non amava i banchetti, anche se spesso per i vari ruoli che ha ricoperto era costretto a presenziarli. Don Tito Uomo tutto di Dio. La sua pietà ed il suo dialogo col Buon Dio era continuo già dalle prime luci dell’alba. Spesse volte al mattino presto quado si scendeva in Cappella già lo trovavamo lì a pregare, tutto raccolto e tutto immerso nella preghiera. La Fede per lui era essenzialità di vita. Non poteva concepire un uomo che non amasse il Buon Dio e che non si affidasse a lui. La Provvidenza era per lui la costante di vita, la guida sicura per far crescere l’Opera e le sue strutture. E mai si disperò o si arrese al pessimismo anche quando, inevitabilmente, apparivano le nubi nere… convinto che subito dopo sarebbe tornato il sole ancora più bello e più splendido. Don Tito uomo apparentemente burbero. Il suo aspetto esteriore era severo, serioso, dava poco spazio al riso ed alle inutili allegrie. Vederlo a vista, senza conoscerlo bene, poteva apparire persino burbero, ma la “sua era austerità di spirito, non severità di modi. Egli non puniva mai e non premiava mai. Non concedeva, non si inteneriva per il riguardo di simpatia verso la sua persona o per il proposito di popolarità”. A conoscerlo a fondo, però, si scopriva una grande dolcezza che ti riservava quasi pudicamente, accennando ad un sorriso. Don Tito padre benevolo, ma non lascivo. “Nelle esortazioni era drastico e tagliente: rovistava la psiche e investiva col suo giudizio inflessibile l'agire debole e vizioso, proponendo il comportamento proprio dell'uomo di carattere e dell'uomo di fede. Ma non si riferiva direttamente all'individuo. Aveva rispetto estremo per la persona. Sembrava avesse paura di avvilirla mettendola a confronto con un giudizio di rettitudine, paura di evidenziarne l'umana debolezza col richiamo al virtuoso agire. Perciò assumeva il tono esortativo, paterno assai non paternalistico, lasciando alla responsabilità dell'interessato il confronto di sé con i doveri del proprio stato. La sua esortazione risultava quindi una proposta, una indicazione di virtù. La verifica della propria condotta e l'adesione dovevano derivare dalla libera scelta individuale”. Don Tito Servo degli orfani. Lo aveva appreso dai due grandi a cui aveva donato la sua esistenza ed alla cui azione aveva aderito senza se e senza ma: Semeria e Minozzi; si era ispirato al Vangelo, a cui lui credeva senza riserve e che ci spiegava senza con tanto amore e tanta acuzia. “Non fatevi chiamare 'maestri', perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo e voi siete tutti fratelli". "Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato". Gesù ha dato l'esempio: "Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Signore e Maestro e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri". Questi concetti di servizio erano limpidissimi sia a Don Minozzi sia a Don Tito e li attuarono in pieno tenendo ben presente sempre che: “chi ha di più, non è per tenere, ma per dare; chi è di più, non è per privilegio, ma per missione. Il Signore domanderà conto di questo di più, sfruttato per noi e non offerto a vantaggio degli altri. I doni e i carismi di Dio sono per la utilità comune”. Potremmo continuare ancora per ore a sviscerare la vita di questo Uomo di Dio e ne trarremmo certamente esempio ed insegnamento per la nostra vita. Ma dal momento che i tempi messi a disposizione sono contingentati mi fermo qui e chiudo con una esortazione che ho già inserito nel libretto scritto da me: “Profilo di un piccolo grande uomo”. Certamente Don Cesare metterà a vostra disposizione un numero di copie sufficiente. In quelle poche pagine, scritte col cuore, ho voluto tratteggiare la mia conoscenza con Padre Tito, leggetelo perché scoprirete un UOMO vero, tutto intento ad Amare Dio ed a servire i fratelli e ne potrete trarre indubbiamente beneficio. Chiudo come ho chiuso quelle poche pagine esortando le Autorità civili a non dimenticare questo cittadino di Castel di Ieri ed a riproporre la sua vita alle attuali generazioni ed quelle future dedicandogli una Piazza, una via, un parco. La scelta deve essere la loro. Alle Autorità religiose a prendere in seria considerazione la possibilità di iniziare un percorso di canonizzazione di questo Uomo esemplare ed essenziale. La sua vita, le sue scelte, il suo impegno lasciano pochi dubbi circa la santità di quest’uomo, piccolo nel fisico, ma di certo grande nell’animo e nella dedizione alla causa della Carità. La sua vita è stata per tutti un esempio e lo è ancora oggi, dopo quarantadue anni dalla scomparsa. Sogniamo che presto le sue virtù eroiche, e noi che lo abbiamo conosciuto da vicino ne siamo testimoni, vengano presto riconosciute e che il suo esempio e la sua fama di santità si diffonda per la vallata che ne conserva le spoglie e che si irradii per la valle peligna, fino agli estremi confini del pianeta. Grazie.